La stessa terminologia dei pazienti può trarre in inganno. È verissimo che certi dolori fisici hanno caratteri acutissimi, ora essendo circoscritti e ora diffusi, ora puntorii ed or laceranti, ora terebranti ed or martellanti: è pur vero che in alcuni mali il dolore diventa intollerabile, così da far invocare (almeno a parole) per l’appunto la morte; ma è anche vero che la sensibilità individuale può dipingerci a colori esagerati inimitabilmente vivaci, dei patimenti che altri descrive abbastanza sopportabili, per quanto li avverta forse egualmente. Basta aver che fare con individui neurastenici, con isteriche, con ipocondriaci, con melancolici, con deliranti allucinati nella cenestesi, per sentire narrazioni di impressionantissime sofferenze, di torture, al cui confronto quelle inventate dallo spirito crudele dei Torquemada dell’Inquisizione, o dai carnefici Cinesi, o dai succitati Pelli-Rosse, parrebbero rose e miele. Quando al mattino il medico percorre in visita le sale del Manicomio, ode taluni pazzi lagnarsi di spaventose crudeltà loro inflitte nella notte da invisibili persecutori: l’allucinazione supera in vivezza qualsiasi sensazione reale, e guai se quei tormenti fossero veri!
In secondo luogo, il dolore non è quasi mai proporzionato alla entità del processo morboso: esso dipende da una folla di circostanze che il più spesso sono estranee alla incurabilità ed inguaribilità delle malattie. Si pongono subito qui le neuralgie che sono infermità di altissimo potenziale per giudicare del temperamento d’una persona, e che non ostante i loro fierissimi spasimi non sono mai letali.
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