Il solo segno sicuro della vera morte (dopo che si è studiato per secoli questo inquietante problema) vien dato dalla putrefazione, che però non impegna subito ed egualmente tutte le cellule del corpo, come dimostrò Arrigo Tamassia. Con la imbalsamazione gli antichi Egizî e Peruviani hanno prolungata per secoli la permanenza non solo delle forme, ma pur anco delle strutture vitali, sebben private del loro requisito caratteristico, la funzione della Vita; orbene, in generale la fisonomia di quei morti perpetuati è serena e calma, come se riposassero: essi non mostrano traccia alcuna della presupposta lotta per non morire.
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Qui si entra in un dominio oscurissimo della Psicologia, anzi di tutto il Sapere umano: ci si trova dinanzi all’enigma, per ora insoluto e forse insolubile, della "Coscienza". Non se ne può dir altro in questo luogo, se non che quella "psiche" che avvertiamo in noi stessi, su cui rivolgiamo il lavoro analitico di introspezione, che accompagna l’attività cerebrale quando sentiamo, percepiamo, pensiamo e ragioniamo, quando ci commoviamo per affetti o per sentimenti, quando ci decidiamo ad agire per un dato fine; quella che ci permette di farci una rappresentazione del mondo esterno e del nostro corpo, e ci porta a sentire gli stimoli derivanti dall’uno e dall’altro, fra cui quei mutamenti disintegrativi dell’io fisico e morale, che ci arrecano sofferenza e dolore, non comprende tutto lo "psichismo" che opera in noi: ne è soltanto la porzione superiore, la coscienza vigile, la coscienza pr. detta.
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