Ricordiamo inoltre il fatto che i malati del sistema nervoso, avendo lesi quasi sempre i centri psichici, sia primitivamente, sia in conseguenza dei progressi della affezione, giungono nella immensa maggioranza dei casi alle soglie dell’estremo passo senza averne coscienza, e quindi colla sensibilità ottusa, fors’anco spenta, rispetto al presunto patimento dell’agonia e della morte. D’altra parte, la Psicologia non ci ha ancora perfettamente illuminati su quello stato da noi chiamato "incoscienza". E dicono: siamo sicuri che la coscienza si ritiri davvero dall’organismo di un morente, o non vi saranno gradi, siano pur minimi, di sensibilità subcosciente, di quella che i fisiologi dicono "bruta", che risiederebbe nei centri gangliari subcorticali o centrali, e della quale non potremmo privare senza ribrezzo e rimorso una creatura umana? Poichè, in sostanza, finchè c’è sensibilità c’è vita; e questa è sacra!
Ma ecco il quesito: il "passaggio" è proprio "sentito" da colui che lo compie? E dico "sentito" intendendo alludere sempre alla coscienza che noi abbiamo del nostro io, alla parte che dicemmo vigile o superiore della coscienza totale, dato che questa, secondo le ultime direttive e vedute della Psicologia scientifica, ha una larga zona marginale che sfumerebbe verso l’incosciente. Si può ritenere che in questa zona, pur avverandovisi dei fenomeni attivi, quali son quelli che i psicologi classici dicono con Leibnitz "percezioni minime", e che la odierna Metapsichica, allargando immensamente il concetto leibniziano, ha battezzato per opera di Carlo Richet come "criptestesia", non esista un processo ultra-umano di coscienza eguale a quello che noi avvertiamo in piena veglia; nel qual caso è anche supponibile che vengano a mancare quegli elementi del Dolore e del Piacere che noi percepiamo mediante i centri superiori o corticali, perchè resi insensibili dall’intossicazione agonica.
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