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      Il suo còmpito sarà allora di convincerli che quelle terrificanti espressioni di pena e di lotta non sono avvertite da chi si spegne, e con ciò combatterà l’opinione comune che il trapasso sia spaventosamente disaggradevole per chi lo compie. Questa sua opera morale apporterà sempre qualche consolazione a chi vede morire una persona cara.
      Un punto solo mi par giusto, ma anche esso con riserva, nella pagina del Maeterlinck, che ho citato al § 6°; ed è là dove incolpa i medici di prestarsi a "trascinare in lungo le atroci convulsioni dell’agonia". Con ciò egli allude, di certo, ai mezzi eccitanti, che noi usiamo negli ultimi stadî delle malattie, quando ormai ogni speranza parrebbe mancare: rubefazioni della pelle, iniezioni di caffeina, etere, muschio, olio canforato, stricnina, ecc., ecc. (qualcuno ha anche pensato alla flagellazione!). Per un buon numero di casi forse l’accusa è vera o, almeno, ha parvenza di verità. Quando un paralitico, un tabetico, un senile in marasma, un apoplettico, sono agli estremi, e i parenti, fra le lagrime ci chiedono di prolungare quella agonia, noi difficilmente ce ne schermiamo, e, colle migliori intenzioni di fare opera doverosa, ricorriamo alla siringa del Pravaz, senza altro effetto che di provocare un sussulto o un gemito di più nel moribondo. Il fatto sta che nessun olio canforato, nessuna essenza di muschio, nessun senapismo o centigramma di stricnina, saprebbe arrestare il processo morboso nella sua ineluttabile discesa verso la fine: noi riusciamo appena a suscitare qualche reflesso di difesa nell’incosciente o assopito malato; fors’anco (ed il pensiero tremendo mi ha spesso conturbato mentre compievo quell’ufficio) noi riportiamo il dolore entro la soglia di una coscienza che stava allontanandosi e perdendo sè stessa.


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L'uccisione pietosa (L'eutanasia)
In rapporto alla Medicina alla Morale ed all'eugenica
di Enrico Morselli
Editore Bocca Torino
1928 pagine 230

   





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