Facciamo noi con ciò opera utile alla vita che si sta spegnendo? E sopratutto facciamo opera umana, ossia morale?
Confesso che in ciò io vado d’accordo con Maeterlinck; sono fra coloro che raccomandano ai loro parenti e famigliari di non chiedere al medico che tenti quel falso, forse doloroso fermo sulla vita, e inutile quando essa starà per fuggire dal corpo. Per mio conto, vorrei chiudere, se sarà possibile, gli occhi alla luce nell’assopimento progrediente della coscienza senza quelle oramai vane resistenze alle leggi imprescrittibili di Natura. Debbo però osservare al Poeta belga che la sua ragionevole condanna di questi tentativi inefficaci contro l’agonia non porta affatto ad accettare l’opposta tesi, del dovere che avrebbero i medici di abbreviarla o anticiparla! Noi vogliamo far nostre le belle parole del Bouquet:
Noi medici ci sforziamo di guarire quando la cosa è possibile; di sollevare rendendo tollerabile la vita quando la salute perfetta eccede i mezzi di cui disponiamo; nei casi in cui ogni scienza è impotente, ci si chiede di essere almeno dei consolatori. Ecco la trinità dei nostri doveri: noi respingiamo ogni aggiunta che non ci potrebbe essere se non di aggravio. La morte è la nostra nemica: siamo qui per combatterla, non per affrettarne il trionfo
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Il dubbio criterio della "inguaribilità".
Vedemmo come la suprema carità eutanatistica dovrebbe svegliarsi, non solo davanti ai mali dolorosi, ma pur davanti a quelli incurabili.
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