Nessuna delle attuali insufficienze della Medicina in un dato caso pratico giustifica il sagrifizio dell’esistenza umana.
In realtà, dice bene Dechambre, tutti moriamo di una malattia incurabile; tutti arriviamo, per strade differenti, al termine in cui il male diventa più forte di tutte le risorse della Natura e, tanto più, dell’Arte! A rigor di termini il motivo dell’"incurabilità" per sè solo servirebbe pertanto a giustificare in astratto il diritto di uccidere anche i malati acuti! Un apoplettico in coma stertoroso, un ferito dissanguato, un avvelenato da sublimato con nefrite distruttiva, un idrofobo, un tetanico, un choleroso, e simili altri pazienti colpiti da malore acutissimo, eppur giudicati dal medico ormai perduti in quanto la loro lesione non è riparabile con nessun mezzo scientifico, dovrebbero per ciò solo essere sospinti al di là della Vita?
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L’"incurabilità" cui guardano gli eutanatisti, non è in sostanza che quella delle affezioni a lunga durata, e non già in quanto esse siano irreparabili, ma in quanto siano accompagnate da sofferenze. È, dunque, sempre il Dolore che si vuole soffocare togliendo di mezzo l’individuo dolorante. In realtà, le malattie croniche non suscettibili di alcuna cura, ma non dolorose, sfuggono agli intenti altruistici dell’Eutanasia; esse, sono intanto più facili, fino ad un certo punto, da consolare, poichè la lievità o la mancanza del dolore non distrugge nell’infermo, nella famiglia, negli amici e conoscenti, tutte le speranze, e perchè un male che non si sente e non tortura o al più dà solo incomodi e maggiori bisogni, appare sempre ai profani di indole abbastanza benigna.
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