Una seconda obiezione riguarda la sentenza di incurabilità, che può gettare nella disperazione il paziente e la sua famiglia, che può far nascere negli interessati aspirazioni egoistiche e condurli alla trascuratezza od all’oblio delle norme caritatevoli di assistenza, svegliando appetiti e preparando possibili lesioni di diritti famigliari o individuali di primo ordine; per sole queste ragioni d’ordine morale, essa va pronunciata con somma ponderazione. Prendiamo di vista solo il malato che è o dovrebbe essere l’oggetto esclusivo dell’interessamento professionale e morale del medico; perchè buttargli ad un tratto nell’animo il germe dello sconforto? perchè forse sospingerlo a qualche atto di violenza disperata? Credo che nella immensa maggioranza dei casi sia preferibile tacere all’infermo la crudele verità; al quesito che fin dal 1635, a Rouen, si poneva certo dottor Naudé: "An liceat medico fallere aegrotos?", sarei in generale e dalla mia esperienza condotto a rispondere affermativamente; dico, ingannare il malato, ma preavvisare nello stesso tempo i parenti, gli amici, i conoscenti a scanso del possibile rimprovero postumo di mancata visione o di equivoco silenzio sulla percepita realtà delle cose.
D’altra parte, confessiamolo francamente, abbiamo noi criterî infallibili per accertare a noi stessi e agli altri la irreparabilità di tutti i processi morbosi nei singoli casi? Sicuramente, in una buona maggioranza dei casi, le prognosi colgono nel segno, specialmente se si tratta di infermità comuni; ma non si hanno ogni giorno esempî di errori fenomenali?
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Rouen Naudé
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