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Il presunto criterio della "inutilità".
Non credo di dovere spendere molte parole per dimostrare quanto egoistica e disumana rinunzia alla affettività e solidarietà sociale si nasconda sotto la dichiarazione di "inutilità", anzi di "onerosità" gettata contro gli anormali di corpo e di spirito, contro i vecchi diventati impotenti, e contro gli infermi di cervello diventati dementi.
Rispetto agli idioti e cretini, ai mostruosi ed anomali dalla nascita, senza dubbio essi vivono da veri "parassiti" della collettività; ma poichè essi devono quella loro miserabile esistenza al non sapere o al non volere questa collettività prevenire o combattere con conscia e sufficiente energia le cause di tanta sventura individuale e famigliare, - cause consistenti per la massima parte nelle così dette "malattie sociali" (sifilide, alcoolismo, tubercolosi, malaria, ecc.), - converrà bene che essa ne accetti e sostenga con rassegnazione il peso, almeno quale espiazione della propria insipienza ed in omaggio ai principî moralissimi della solidarietà e responsabilità umana.
Certo, a chi guardi le cose alla superficie e assillato da scopi di puro interesse, i vecchi decrepiti, i dementi cronici, i frenastenici, appaiono "inutili" alla Società che li deve ospitare, soccorrere, mantenere; ma quale sarà il criterio della "inutilità" applicato alla creatura umana, se non ne esiste neppure uno per quelle creature viventi che noi giudichiamo "inferiori"?
Molti anni fa, mentre ferveva il movimento filosofico e scientifico promosso dalla Teoria dell’Evoluzione, e se ne facevano larghe applicazioni in tutti i campi, si discusse a lungo ed ampiamente sulla "utilità" delle specie animali e vegetali, nonchè dei loro caratteri particolari in vista della selezione naturale e dell’adattamento.
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Società Teoria Evoluzione
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