Nel primo caso si avrebbe la uccisione consensuale del paziente; negli altri due mancherebbe il suo consenso per ovvie ragioni, ma gli si sustituirebbe il giudizio autorizzato e inappellabile di una speciale Commissione. Bisogna, dunque, esaminare il valore psicologico, e per conseguenza anche giuridico, del "consenso".
Io non ho intenzione di trattare a fondo l’argomento sotto l’aspetto giuridico, mi vi dichiaro incompetente; se ne potrà leggere una trattazione parziale, anzi accidentale, nei libri e nei periodici di Diritto e Giurisprudenza penale, dove si vedranno subito specialmente i contrasti, dapprima vivissimi, indi vieppiù ammansati, fra i sostenitori della così detta Scuola classica (Carrara, Holtzendorf, ecc.) e i seguaci del novello indirizzo positivo (Ferri, Grispigni, Lino Ferriani), in riguardo alla uccisione del consenziente. Un punto di accordo pare si sia trovato in questo, che il consenso alla morte per mano altrui sia libero, dimostrativamente libero nella vittima; e che l’uccisore agisca dietro motivi di disinteressato amore o di compassione. Ma questo è, come abbiam visto, un solo dei lati che presenta il poliedrico problema dell’eutanasia; e anche nel caso che il consenso sia dato per sfuggire a mali fisici insopportabili (lascio da parte i doppî suicidî per amore o per miseria), si tratta di un’applicazione del principio etico-giuridico della libertà individuale a casi singoli, ad uccisioni pietose isolate.
L’Eutanasia ha ben maggiore complessità. Anzi tutto, non solo ai pazienti consapevoli delle loro decisioni (e sarebbero i meno) essa si applicherebbe, ma più estesamente a persone inconsapevoli o per malattia, o per involuzione senile, o per ingenita mancanza di criterio.
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