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      Ben altro è il concetto che si ha della responsabilità di chi consiglia o provoca un suicidio nella Cina; là non occorre neanche essere istigatori: basta l’essere causa indiretta e involontaria della morte di una persona per suicidio, sia pure un debitore perseguitato dal suo creditore!, per venir puniti severissimamente. Durante molti secoli vi si applicarono pene corporali e perfino la morte (per legge di taglione o, come diceva Dante, di "compromesso"): adesso i Cinesi infliggono soltanto un’ammenda pel Fisco e un’indennità pecuniaria agli eredi del morto; il che lascia aperto l’adito alla più sfacciata speculazione, a deplorevoli ingiuste incolpazioni di responsabilità, e a soprusi giudizarî. Un esempio poco incoraggiante, in verità!
     
     
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      Dubbio valore giuridico della "pietà".
     
      Il principio giuridico sostenuto da Enrico Ferri, molti anni fa nel citato volume, è che l’omicida, anche se autorizzato dalla sua vittima, dovrà essere giustificato, ogni volta che esso avrà agito, per motivi che non abbiano nulla di antisociale; tali sarebbero sopratutto i sentimenti di pietà. "La soluzione positiva del problema, egli scriveva, si trova nell’ammettere che la morte volontaria (suicidio) non sia giuridicamente criminosa, perchè l’uomo può disporre della sua esistenza, e che quindi il suo consenso (a morire) discrimina ogni atto di chi, concorrendo in qualunque modo a questo esito finale della sua morte, non sia determinato da motivi illegittimi ed antisociali" (p. 52). Ma ad una completa "giustificazione", che vorrebbe dire impunità assoluta, altri giuristi e sopratutto sociologi, ad esempio Gabriele Tarde, obiettarono fin d’allora il pericolo di creare in tal modo delle pericolose eccezioni alla norma fondamentale della convivenza civile: "Non uccidere, nè rubare". Il Tarde, inoltre, trovò vago e suscettibile di varia interpretazione il principio della legittimazione dell’omicidio con il consenso: soltanto in un caso pareva all’eminente sociologo che si potesse dar ragione al Ferri "senza restrizioni"; e cioè quando l’omicida agisse per motivi di origine "naturale" piuttosto che sociale, e perciò tanto più legittimi, quali sarebbero la pietà, l’amore, e quando anche i motivi che determinassero la vittima a chiedere la morte fossero essi pure di origine naturale, qual’è il caso di malattia tormentosa e disperata.


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L'uccisione pietosa (L'eutanasia)
In rapporto alla Medicina alla Morale ed all'eugenica
di Enrico Morselli
Editore Bocca Torino
1928 pagine 230

   





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