Ma prima di sanzionare qualsiasi forma di eutanasia converrà dimostrare in modo perentorio ed irrevocabile che la soppressione di quell’individuo, non solo è inspirata da un purissimo, quasi impulsivo sentimento (pietà), ma è veramente conforme a codesto interesse superiore, così che dalla sua scomparsa personale derivi qualche benefizio, qualche vantaggio, o sia scansato qualche danno precisato ed evidente: dimostrazione agevole a darsi in via generica ed astratta, difficilissima, quasi impossibile, in ciascun caso concreto. Tutto ciò accresce, e porta, direi quasi, al parossismo il problema della responsabilità di coloro, medici, magistrati, probiviri, cui spettasse emettere la sentenza capitale.
Insomma, dal lato giuridico, l’eutanasia potrebbe essere accolta e sanzionata solo in quanto essa provi di avere fini legittimi; bisognerà che in ogni caso l’Autorità competente, tecnica e giudiziaria, ne esamini, ne ponderi, ne approvi la motivazione. E questo abbiamo veduto corrispondere ai dettami del Diritto positivo, eretto su base sociologica, quale insomma può discendere dai principî della Scienza e della Morale realistiche (non dico "positivistiche" per non fare inalberare i seguaci dell’Idealismo imperante). La legittimazione dell’omicidio pietoso e liberatore starà dunque nei motivi che lo faranno eseguire; su ciò si trovano d’accordo il Ferri ed il Tarde. Ma volendo portare questi concetti nella Legislazione, converrà per ora arrestarsi all’eutanasia meno lontana dalle condizioni attuali della Scienza e Pratica del Giure; considerare cioè intanto i casi più semplici, e dei quali già esistono esempi nella convivenza civile, ossia le uccisioni strettamente pietose.
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