Esse entrano nella figura giuridica dell’omicidio del consenziente, quivi compresa la non sostanzialmente dissimile figura dell’aiuto prestato al suicida.
Enrico Ferri, cui mi sono rivolto per sapere quale sarebbe, caso mai, la soluzione che del grave quesito sta per proporre la Commissione da lui presieduta ed incaricata dal Ministro Lodovico Mortara (un alto ingegno ed un’altissima competenza nel Giure) di preparare la riforma oggimai riconosciuta necessaria del Codice penale italiano, mi fa osservare che nell’attuale nostra Legislazione l’uccisione del consenziente, qualunque ne sia la motivazione, viene parificata all’omicidio in genere, e che l’aiuto a chi si uccide viene considerato come delitto molto minore, ossia un delitto medio. Infatti l’art. 364 del Codice penale prescrive che sia punito con 18-21 anni di reclusione "chiunque, a fine di uccidere, cagiona la morte di alcuno"; e l’art. 370, che sia punito assai meno severamente, cioè con anni 3-9, "chiunque determina altri al suicidio o gli presta aiuto". Nel primo articolo il Legislatore stabilisce che l’atto di uccidere è per se solo un delitto contro la persona senza alcuna distinzione nelle sue finalità, ossia, qui, un comune omicidio, col dubbio di arrivare all’assassinio quando paresse dimostrata la premeditazione; nell’altro articolo, mette insieme la istigazione colla semplice opera ausiliatrice nel suicidio altrui, il che non pare corretto sotto il punto di vista psicologico: toccherà, in ogni caso, al Tribunale discernere la possibile discolpa dell’uccisore, dell’istigatore o del soccorritore secondo i motivi che li spingono ad agire.
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