Il problema eutanatistico così lasciato al caso per caso non è risolto. Meglio provvederebbe chi con Enrico Ferri rilevasse che nella realtà tra omicidio del consenziente e aiuto al suicida non v’è grande differenza materiale; e che, quanto alla responsabilità, l’aiutare uno ad uccidersi o l’uccidere chi vi consente, non saranno figure o forme di omicidio fraudolento, veramente criminoso, se non quando siano determinate da motivi ignobili ed anti-umani, vogliam dire, con Tarde, anti-sociali, quali la cupidigia, la vendetta, la brutalità sadica, ecc., e perciò non saranno mai suscettibili di una diminuzione di pena. Per contro saranno meritevoli di indulgenza relativa gli stessi atti quando siano determinati da motivi nobili ed umani, conciliabili coi criteri dell’Etica universale, quali la pietà, la simpatia disinteressata, la commiserazione, e con ciò potranno ricevere sanzioni minime, essere anzi degne di quel "perdono giudiziale" che la Commissione di riforma ha proposto nell’art. 82 del Libro I del suo Progetto.
Evidentemente l’eutanasia medica a scopo privato entrerebbe fra le azioni di questa seconda categoria; e se ne desume che in teoria essa potrebbe accordarsi fin d’ora coi criteri vigenti della nostra vita giuridico-sociale, e in pratica, a prescindere dal contributo che dovrebbe prestarle la classe sanitaria, entrare anche nei nostri costumi senza sollevare ripugnanze sentimentali, nè opposizioni ragionate.
La responsabilità medica.
Resta ancora in discussione il ben più arduo e vasto problema dell’eutanasia eliminatoria, selettiva, di ordine pubblico; per essa i dubbi e le incertezze sorgono ad ogni piè sospinto, e noi medici, che poco siamo disposti ad idealizzare la morte, perchè ne abbiamo troppo spesso sotto gli occhi il tristissimo spettacolo, abbiamo il diritto di esprimere il nostro parere prima che dal cielo delle astratte idealità eugenetiche essa scenda nel campo della realtà sociale.
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