Orbene, in tali circostanze, egli dice, l’omicida pietoso che lo esaudisse (e qui lo supporremo un medico) dovrebbe essere discolpato, non tanto in virtù del consenso quanto per l’interesse evidente della vittima. È la stessa condizione di cose per i feriti moribondi sui campi di battaglia o per le vittime di un infortunio sul lavoro, di un suicidio mal consumato, di un malato di rabbia, ecc.
Quando l’interesse della vittima, cioè la fine di strazii inutilmente prolungati, sia chiara ed evidente, e quando anche il paziente fosse pazzo o minorenne, nel qual caso mancherebbe o sarebbe difettoso il suo consenso, Tarde riteneva che giuridicamente, come moralmente, vi fosse luogo a discolpa pel parente o pel medico omicida. Il Tarde stesso però osservava che al contrario, anche se esistesse il consenso ma la evidenza dell’interesse mancasse, vi sarebbe sempre luogo all’incriminazione; e qui alludeva certamente al doppio suicidio o all’omicidio medico mosso solo da motivi morali. Son sempre, come si vede, situazioni incerte e di arduo apprezzamento; perfino nel caso sempre impressionante di vittime di accidenti di ferrovia, talvolta minacciati di ustioni acerbissime per l’incendio delle vetture e quindi doppiamente esposti a torture ineffabili, l’uccisione pietosa non potrebbe eliminare il dubbio della possibilità in quegli infelici di sopravvivere qualora un soccorso medico-chirurgico più idoneo giungesse in tempo per strapparli a morte apparentemente ed empiricamente certa.
Chi ha vedute le spaventose mutilazioni provocate dai proiettili dell’ultima Guerra, tali da far sorgere in parecchi medici-chirurghi militari l’irresistibile idea di por termine a tanto orrore e a tanti tormenti - idea subito repressa dal sentimento del proprio dovere scientifico e dal pensiero della propria responsabilità in caso di errore di prognostico per soverchio pessimismo - e chi scorge oggi i gloriosi nostri mutilati, rassegnati alla loro sorte non maledire di certo a coloro che li hanno fatti sopravvivere in condizioni spesso miserabili, può ben concepire tutta l’acutezza affannosa del dubbio dal quale, sia lungo le linee ferroviarie, sia negli opifici industriali, sia sui campi di battaglia, l’eutanatista il più fervido, ma saggio e prudente, si sentirà sempre oppresso e il più delle volte arrestato nella traduzione in atto del suo stesso impulso umanitario.
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