E si avverta anche il pericolo in cui può incorrere un medico troppo sollecito ad accondiscendere, qualora i famigliari in seguito si pentissero di avergli chiesto quell’atto di liberazione terminale per il morente o per l’infermo condannato, o qualora parenti lontani e dissenzienti mantenutisi estranei all’azione liberatrice, tanto più se si sentissero lesi da quella morte nei loro interessi, movessero causa al sanitario. Questo dissenso fra congiunti e consanguinei è già frequentissimo quando si deve provvedere per il ricovero di un alienato in Manicomio; gli alienisti ne sanno qualcosa. Figuriamoci ciò che avverrebbe in un contrasto ben più tragico di opinioni! A scanso di ogni possibile responsabilità del medico, una Legge che autorizzasse l’Eutanasia dovrebbe, non soltanto prescrivere la istituzione di Commissioni tecniche e di Tribunali speciali, ma ordinare in ogni caso la convocazione del Consiglio di famiglia, come si fa per il semplice provvedimento della interdizione o inabilitazione civile rispetto agli infermi di mente ed ai prodighi, ed ottenerne l’incondizionato e unanime assenso.
Infine, non possiamo senza fremito pensare alla possibilità che la autorizzazione famigliale, sotto le apparenze della misericordia che mira a liberare i pazienti dai loro ipercoscienti strazii, nasconda l’egoistico bisogno di liberarsi da quel penosissimo spettacolo, di procurarsi una quiete non turbata dai lagni e dai gemiti del sofferente. Anche qui son da ricordare i casi criminali di quei genitori che avendo messa al mondo una creatura mostruosa o deforme, un povero fanciullo infermiccio, sciancato, impotente per paralisi cerebrali e spinali infantili, e non potendone o non volendone sopportare la vista che suona rampogna per i loro vizi, per le loro tare ereditarie e brutture, per la loro incapacità di allevarli decentemente ed umanamente, li spingono verso la tomba a furia di sevizie, di privazioni, di crudelissimi trattamenti.
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