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Noi siamo di fronte, come fu già detto, ad un principio essenzialmente naturalistico che si connette al problema dell’origine e del progressivo sviluppo di specie sempre più adatte alle condizioni di vita, come Carlo Darwin aveva divinato e sistemato. Per quanto modificata nella sua primitiva concezione, per quanto ridotta ad essere un fattore secondario dell’Evoluzione organica a fianco in coincidenza e in concorrenza con molti altri fattori, esterni od interni, di mano in mano scoperti e determinati, la selezione naturale altro non è che la amplificazione teorica, ma logica del processo artificiale usato dall’Uomo lungo i secoli per trasformare, fino a certi limiti, quelle specie animali e vegetali che gli potevano essere di utilità o di gradimento. Orbene, se siamo riusciti e se tuttora riusciamo a creare delle varietà e razze domestiche sino al grado di sottospecie, e, secondo alcuni naturalisti zootecnici e coltivatori, sino al grado di vere specie; se ci preoccupiamo della conservazione e del miglioramento continuo di codesti tipi foggiati in conformità delle nostre finalità utilitarie e talvolta dei nostri capricci, entro la cerchia, ad es., della specie Cavallo, della specie Cane, della specie Coniglio, della specie Melo o Cavolo o Tulipano, ecc., ecc., è permesso concluderne che lo stesso processo, mutatis mutandis, ci servirebbe, se non per trasformare, almeno per modificare e perfezionare noi stessi. In fondo, quando il coltivatore elimina o esclude dalla riproduzione gli individui di una data razza o varietà domestica che non gli sembrano idonei a conservare o a riprodurre il tipo che gli conviene, mette in opera in molti casi, sopratutto verso gli individui malconformati o gracili, un procedimento "eutanatistico" giacchè li uccide, li distrugge, li estirpa, e li getta via.
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