), hanno in realtà una origine collettiva, sono cioè il prodotto di mali del corpo sociale; e tocca a questo subire la sanzione di tutti quei gravami fino a che non abbia virilmente provveduto alla profilassi ed alla propria rigenerazione. In una Umanità civile la Eutanasia neuro-psichiatrica sarebbe quasi del tutto inconciliabile colla necessità di sempre meglio rinserrare, non di rallentare e distruggere, i vincoli di mutua responsabilità fra i suoi componenti, anche se di generazioni successive.
L’Eutanasia non arreca, secondo Lindsay, alcun benefizio sociale; essa abbassa il nostro rispetto per la vita umana, giacchè il miglioramento fisico dell’Umanità o della razza non deve ottenersi a scapito dei sentimenti morali. L’abnegazione per assistere ammalati ripugnanti, la compassione attiva per i nostri simili sofferenti, la simpatia per ogni creatura vivente, sono valori altamente utili, cui non dobbiamo rinunziare. D’altra parte, la sofferenza è un fattore di elevazione; il Dolore ha una finalità morale e quasi estetica; la Vita senza Dolore sarebbe insipida. È anche difficile stabilire se certe sofferenze individuali non siano utili, non tanto perchè espiazione di errori volontari da parte dell’individuo medesimo, quanto perchè ammaestramento della collettività spettatrice o superstite per avviarsi sulla strada della Ragione e della Giustizia, per apprendere quel rispetto delle leggi naturali di cui molto spesso la malattia dimostra il disprezzo o la trascuranza.
Scriveva Jean Finot nel suo bel libro Progrès et Bonheur (Parigi, 1914): "Si teme, si fugge, si maledice il Dolore; ma esso arriva egualmente, e quando è arrivato, dà valore alla gioia passata e ne darà a quella futura.
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