Sydenham alzava un inno all’oppio, come al gran mezzo che permetteva all’uomo di combattere i patimenti inflittigli dalle forze naturali. Pagine eloquenti io ricordavo di aver letto in un bel libro del dottissimo Dechambre, che fu un medico ed uno scienziato di alto valore e che sentiva tutta la dignità della nostra professione. L’ho ripreso ora in mano, dopo quarant’anni, e ne riporto le parole, ben sapendo che non saprei dir meglio:
[Nel caso che il malato sappia della incurabilità del suo male] l’azione del medico può ancora esercitarsi con vantaggio sul morale... Lo stoicismo, che ha fatto i Catoni, i Seneca, i Marco Aurelio..., ha ancora dei rimedi efficaci contro le sofferenze irrimediabili; in mancanza della consolazione, ha l’abnegazione, il sacrifizio di sè stessi. Questo sacrifizio, gli stoici d’una volta; lo spingevano fino al suicidio; e oggi il pensiero di questo ultimo rifugio sorge ancora in certi clienti. Quando lo scopra, quando soltanto lo sospetti, il medico ha il dovere di combatterlo. Se il suicidio è un atto di libertà perchè doma il corpo, dipende anche da una servitù in quanto è una capitolazione davanti al soffrire: esiste inoltre il principio dell’inviolabilità della vita umana, conquista della Civiltà, che nessuno può rinnegare. Queste sono verità che ogni medico può avere occasione di utilizzare. Ciò vuol dire che mancano alla loro missione quei medici che abusando delle agevolezze della professione, procurano del veleno ai loro clienti, come fu veduto in circostanze memorabili.
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