Ma seguiamo lo svolgimento di queste nozioni nella coscienza umana; e vediamo, come dapprima vaghe e latenti, dovessero poscia avvertirsi e determinarsi.
Queste due nozioni non erano né necessarie, né possibili al primo uomo, il quale, solo in mezzo al creato, non sentivasi limitato in nessun modo, per cui non dovettero essere che in progresso vagamente sentite, poi formulate, quindi piú o meno imperfettamente applicate. Scaturite dapprima dai bisogni e dai rapporti che il solo spirito umano è in grado di constatare, in un colle leggi che li reggono, il filosofo trovò poscia la loro affermazione meditando sullo scopo della sua creazione e sui proprii destini; e come vide il soddisfacimento di quei bisogni in armonia con quello scopo e con quei destini, vide eziandio necessità di quel soddisfacimento a raggiungere il suo fine; e sorse in lui la coscienza del diritto, cioè, come dicemmo, la legittima pretesa d'ogni essere, allo sviluppo ed allo esercizio delle sue facoltà, epperò a tutti quei mezzi che eccitano, favoriscono e conseguono questo sviluppo e questo esercizio.
Riconosciuta questa legge, prima ed anzi tutto nell'essere umano, era impossibile ad ogni logica, non estenderla a tutta la specie; epperò ogni essere non può, né deve, riconoscere altra legittima limitazione al proprio diritto, che quella necessariamente stabilita dal diritto altrui, ed ecco la giustizia.
Chi infatti troverebbe a ridire di quell'uomo che, trovandosi solo in vasta regione, se l'appropriasse ed estendesse la proprietà sua illimitatamente, senza scrupolo?
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