È evidente che l'uomo, ignaro tuttavia di molte leggi naturali, e completamente al buio del concetto sintetico della creazione, non poteva derivare le sue classificazioni che dagli interessi suoi e dalle sue passioni. Egli dunque, con un comodissimo a priori, stabilí sé stesso centro e fine dell'universo, ed a sé convergendo gli esseri tutti e tutte le cose, ne statuí il valore, ne assegnò le funzioni, ne affermò l'importanza in base all'utile od al diletto che queste gli arrecavano.
La donna, che gli è cosí vicina, e nella quale si giace tanta parte della sua miseria e della sua felicità, dovea necessariamente esser la prima a subire le conseguenze di un cosí ingenuo egoismo.
Riconoscendo perciò l'uomo i vantaggi dell'iniziativa, volle vedere la donna, passiva piú assai che non l'abbia mai fatta la natura. Avido di dominio e di signoria, imaginò di trovare in lei, bella l'umiltà, e perfino la viltà. Avendo scoperta la superiorità che dà la coltura sull'ignoranza, trovò buona cosa serbare a sé il privilegio dell'intelligenza, e vide nell'ignoranza della donna un vezzo ed un'attrattiva. Amante egli dell'impero e del comando, si figurò che per la donna sia gloria l'ubbidire. Cupido di possesso, si aggiudicò la donna siccome proprietà; e si persuase dovere la buona moglie credersi seriamente cosa del marito; e cosí via di trotto procedendo, egli trovò d'aversi confezionato un tipo femminile di tutta sua convenienza, e su questo tipo elaborò le leggi, i costumi e l'educazione della donna; e questo è tutto il lavoro che la filosofia compí rispettivamente alla donna in sessanta secoli.
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