E per primo, v'ha il regime della comunione dei beni, nel quale s'intende coniugato chiunque non abbia fatto convenzioni speciali; v'ha il regime dotale.
Nel primo l'amministrazione dei beni comuni è devoluta al marito solo; i quali beni si compongono di tutti i mobili ed immobili, frutti ed interessi d'ogni natura, acquisiti anche dopo il matrimonio.
Oltre il diritto di amministrare, egli solo può stare in giudizio per azioni riflettenti i beni della comunione.
Egli può inoltre vendere, alienare, ipotecare questi beni senza concorso della moglie, non essendo richiesto il suo esplicito consenso, per la legale validità d'ognuno di questi atti.
Ora, laddove si consideri che se abbia la donna posto dei beni in comunione, o col proprio censo, o col proprio personale lavoro, o col lento e penoso risparmio, deve pur sempre stendere al marito la mano per averne in tutto o in parte ciò che vuole ogni equità le sia dovuto, fortunata ancora se una cattiva amministrazione del marito, od i debiti da lui incorsi, od i suoi vizii e disordini non l'hanno spogliata di tutto, vedrassi chiaramente quanto un simile regime sconvenga alla donna.
Nel popolo, i cui matrimonii si fanno senza contratto generalmente, non è raro vedere un marito beone, brutale, o giuocatore, sciupare in assidue gozzoviglie il piú che modesto mobiliare raccolto della misera consorte, colle lunghe notti vegliate nel lavoro, o con indicibili economie, che spesso le costarono la salute.
Bisogna perciò persuadere le donne del popolo a fare un contratto nuziale, ed a voi tocca, signore mie, ad accorrere in soccorso della loro improvvida ignoranza, in nome di quel vincolo solidale che unir deve la donna di tutti i ranghi sociali, poiché tutte sono egualmente oppresse dalle istituzioni; e passiamo ora a vedere come la legge tratta la donna nel contratto.
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