Non posso a meno d'applaudire al signor ministro, e venir d'accordo con lui quando, considerando il matrimonio come istituzione sociale, in quanto è fondamento della famiglia, epperò nido dell'umanità, lo chiama a dipendere dallo Stato ed a ricevere da lui la legale sanzione. Questo fatto, preparando lo Stato all'emancipazione da una religione dominante, che è un'implicita depressione dei culti tollerati e che trae dietro a sé privilegi per il culto dominatore, obbedisce perfettamente al principio della libertà di coscienza, sí altamente reclamata dalla filosofia...(6)
... Il progetto comincia col chiamare la madre alla tutela; dietro a lei, e per corollario logico, le ascendenti; poi considera, che il nipotismo ha sempre giocato una gran parte nel dramma sociale, e che ad una donna, che non ha famiglia propria, i nipoti la costituiscono naturalmente. E va bene. Ma ad un tratto il progetto s'arresta sullo sdrucciolo pendio, s'accorge che la tutela è un ufficio pubblico, e come tale non conviene alla donna; e taglia netto il filo delle concessioni. Indarno forse gli si farà osservare che la tutela è una maternità, e che per conseguenza, pubblica o privata ch'ella sia, non v'ha funzione piú addicevole alla donna di questa. Il progetto non risponde, ma s'è incaponito di non dare pubblica gestione alla donna. Gettiamo dunque il guanto alla pubblicità.
Che cos'abbia di pubblico, in atto pratico, la tutela, per vero dire non si saprebbe, dacché si esercita fra le mura domestiche; che se il contatto con un magistrato ed un tribunale pupillare è tutto ciò che ne costituisce la pubblicità, in tal caso possiamo ben dire di vivere tutti pubblicamente, dacché non v'ha cittadino che per i fatti suoi non sia esposto a simili eventualità, maschio o femmina che sia.
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