Io - Lasciamo da banda per un momento, se vi pare, i vostri aforismi e quei di Proudhon, li incontreremo piú tardi. Ditemi, per il momento, che cosa ne fate voi della donna?
Elvira - Oh per la donna ho delle idee assai belline, sapete, e nuove e liberali. L'ho studiata molto. È la mia specialità e mi ci conosco assai bene: e se certe stordite damine che schiamazzano tuttodí ai quattro venti, libertà, libertà, non ponessero in forse il loro successo, io potrei in pochi anni trasportare a Firenze, a Parigi, a Londra, a Berlino, a Vienna le delizie della Mecca e di Téhéran. «Ecco la donna è destinata ad esser madre.»
Io - E l'uomo ad esser padre...
Elvira - Adagio... la vostra proposizione è subito contestabile. Io parlo cose che si accettano, non si discutono. Io e Proudhon siamo indiscutibili.
Io - Vi ascolto religiosamente.
Elvira - Dunque io dicevo nel prologo del mio Caos, che la poesia mi scoraggiò, la filosofia mi sbalordí, l'economia politica e sociale mi lasciò tutte le domande senza risposta. Da ciò son venuta ad inferire che se l'uomo che ha tanto talento, che ha la potenza d'astrarre e di concretare, d'analizzare e di sintetizzare, di osservare e di dedurre, di discendere dal necessario al contingibile e di risalire dal contingente al necessario, che ha la privativa del genio, il monopolio del sapere, che ha il volume cerebrale del peso medio di 50 oncie secondo uno scienziato, e del peso normale di tre libbre a tre libbre e mezza secondo un altro; se l'uomo che ha trovate tante belle cose, altre ne ha dette e qualcheduna anche ne ha fatte, ha lasciato tuttavia il mondo quale il mio prologo l'ha detto, che mai volete che faccia, in nome di Dio! la donna che «autrice è un'utopia», letterata non mi piace, filosofessa vuol delle novità pericolose, e che ha il cervello del peso medio di 44 oncie?
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