Mi duole davvero gettare delle nubi su quei rosei cuori, ma non siamo contente affatto e per non obbligare i nostri futuri legislatori a fare un lungo studio intorno ai nostri bisogni nell'ordine famigliare, e sociale, chiediamo loro che una sola cosa venga da loro accettata come sacro impegno d'onore, di propugnare non solo, ma insistere fino alla fine pel nostro voto politico e amministrativo.
Ottenuto questo, verranno essi medesimi ad informarsi dei nostri bisogni e non crederanno di perdere il loro tempo.
Ma qui mi vedo assalita da un nembo di ma, di se, di forse, ai quali tutti darò udienza e risposta.
Il diritto politico e amministrativo fu, in tesi astratta, riconosciuto alla donna in tutti i paesi civili. Cittadina e contribuente nella città, nella provincia, nello Stato, investita di una condizione giuridica, sottoposta alla sanzione penale, non v'è giurista cosí musulmano da non capire come ad un tal ente giuridico era impossibile negare teoricamente il diritto. Ma quando poi si tenne all'esplicazione pratica di questo diritto, quegli stessi uomini che seguendo il nesso logico delle idee avevano tutto concesso, bloccati in massa dal pregiudizio, tutto negarono. Né pensarono a distinguere fra essi, e ad esaminare se quelle forme nelle quali si presentava la donna investita del diritto ripugnassero veramente alla natura intima delle cose, o se li smarrissero semplicemente perché nuove.
Poiché è pur forza convenirne, o Signori, mentre la civiltà importa una assidua trasformazione delle idee e delle cose, ogni novità ci si affaccia sempre come un'assurdità, e non è che il successivo lavoro di riflessione e di esperimento che ne liscia ai nostri occhi i contorni e ce la fa apparire successivamente possibile, ragionevole, naturale, e piú tardi necessaria, indiscutibile.
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