Ivi dato di piglia ad un piattello, e postosi dietro ad una scranna, era presto ad ogni servigio, come se vegliasse, e come se ivi cenassero le consuete persone. Passato qualche tempo, quasi che fosse terminata la cena, sfornì la tavola, e raunate la salviette con altre cose in una cestella, e scese due scale, quelle nel solito armadio ripose, avendolo prima aperto colla chiave senza veruno imbarazzo o confusione. Entrò in cucina, e preso uno scaldaletto, si portò, come suo ufizio era, in una camera; dove piegata a molte doppie la sopracoperta, e toltala dal letto, questo riscaldò. Poscia chiuse le finestre e gli usci, s'inviò per andare a casa; ma ritrovata chiusa la porta di strada, passò alla camera di un suo conservo, a piè del cui letto postosi ginocchioni, ed allestendosi per coricarvisi, venne risvegliato. Interrogato, se delle cose fatte si ricordava, rispose di no, anzi restò confuso e maravigliato. Alcuna volta nondimeno si truova, che se ne ricorda. Nella sera del dì diciotto di esso mese fece lo stesso esercizio addormentato, con aggiungervi l'apparecchio della tavola, per la quale in più fiate portò tutto il bisognevole, cioè piattelli, lumi, salviette, ed altro: in cucina cercò la sua cena; e mentre stava attentamente osservandolo il signor Reghellini con alcuni cavalieri mossi da giusta curiosità per vederlo mangiare, uscì in un atto di ammirazione, e disse: quasi mi scordava, che oggi fosse venerdì, e che avessi destinato di non cenare. Dopo di che riposto il piattello in un armadio, e rimessosi a sedere, dormì quieto lunga pezza senza far altro.
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Reghellini
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