Nella sera poi del dì ventiquattro, dormendo, effettivamente cenò, col mangiare tre pani, e molta insalata, ch'egli avea dianzi ricercata dal cuoco. Calò in cantina con lume acceso, dove presa una scodella, e smosso uno spinello, tirò con cautela il vino, che gli bisognava, e se lo bevve, replicando la stessa cosa per due volte.
Tutte queste operazioni fece il sonnambolo con tanta destrezza e franchezza, che meglio non le avrebbe fatte ben desto. Nell'apparecchiar la tavola non confondeva né il luogo delle forchette e coltelli, né le varie scranne solite a prepararsi. Portava il vino, come se vi fosse il padrone con altri, servendosi or di una tazza, or di un'altra, secondo il costume delle persone, che dovevano bere. Quello che maggiormente facea stupire gli astanti era, che nel portare un'asse, sopra cui erano molte caraffe pel vino, oltre al dovere ascendere una lunga scala in due rami divisa, arrivato alla porta della stanza, dove si mangiava, che non è larga quanto è lunga l'asse, pronto si volgeva in fianco per ischivare l'impedimento. In tutto questo tempo, dice il signor Righellini, ho veduto tenere il giovine chiuse constantemente le palpebre, e chiuse con gran forza, come dalle molte loro grinze si comprende; né per quanto si alzasse la voce, egli punto udiva. Oltre a ciò volendo egli spazzar le tele de i ragni appese ad un trave di una sala, come egli era stato comandato, si portò dormendo in tempo di giorno circa le ventitré ore in un largo cortile, e presa la scopa, questa all'estremità di una lunga pertica legò strettamente con corda, e nel salire per le scale non potendo per la lunghezza della pertica aggirarla nel secondo ramo, la depose, e prestamente aprì una finestra, che dà luce alla scala, fuor della quale tanto la prolungò, che poté farla passar oltre.
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Righellini
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