Dice di più santo Agostino nel libro decimoquarto al capitolo vigesimoquarto de Civitate Dei, cioè essere vivuto ai suoi dì un Restituto prete, il quale, quando gliene veniva la voglia, o era pregato dagli amici, si alienava da i sensi, e giaceva simile ad un morto, in maniera tale che non solo non sentiva, chi il solleticava o pungeva, ma alle volte ancora scottato col fuoco, non ne provava dolore alcuno, se non dappoicché era tornato in se stesso, e sentiva la ferita. L'attribuire questo insolito caso al diavolo, come ha voluto decidere taluno, altro nome non merita, che di troppo precipitosa sentenza, e propria solamente degl'ingegni minori, che non sapendo spiegare gli stravaganti fenomeni della natura, ricorrono tosto agli aggenti sopranaturali. Deus in machina, dicevano gli antichi. Santo Agostino, che riferisce questo caso, e ne sapea più di certi teologi peripatetici, non si avvisò già d'introdurre il diavolo in questa scena e in altri casi strani, che egli ivi racconta. Da lui sappiamo ancora, che quel Restituto nello stato suddetto, udiva anch'egli le voci degli uomini chiaramente parlanti, se non che a lui pareva, che fossero lontane. Come poi non sentisse allora una scottatura, par difficile a credersi; né santo Agostino l'avea co i proprj occhi veduto, sapendolo solo per relazioni altrui. Che poi nelle astrazioni estatiche l'anima pensi, e formi raziocinj e ragionamenti, movendo con ordine e giudizio le immagini occorrenti della fantasia, evidentemente si raccoglie da quanto avveniva al principe de i poeti epici italiani, cioè a Torquato Tasso, uomo di temperamento sommamente malinconico, quello appunto, che più degli altri porta a strani effetti della fantasia, potendosi credere, tale essere la forza di essa, che spinga la mente ad abbandonare i sensi, per badare unicamente a ciò, che essa con troppa vivacità le rappresenta.
| |
Agostino Civitate Dei Restituto Agostino Restituto Agostino Torquato Tasso
|