Né altra pruova occorre, che la sperienza stessa, perché dall'un canto se all'arte di far l'oro tanti e tanti fossero giunti, come spacciano i libri dell'alchimia: egli è impossibile, che alcun de' principi e re non avesse per amore o per forza estorto questo segreto; e trasmessolo per eredità a i suoi discendenti. Noi sappiamo, onde i monarchi traggano l'oro, senza ch'io di più aggiunga. Dall'altro canto, chi sia vivuto le centinaja d'anni per virtù de' decantati elissiri, niuno si mostrerà con verità, fede non meditando su questo qualche mercadante d'inganni. Non fallerebbono gli uomini, se tenessero salda questa sì ragionevol massima, cioè: non essere credibile, che chi fa l'oro, sia di bisogno di mendicar l'oro altrui: e che costui possedendo sì gran segreto, voglia per poca mercede insegnarlo ad altri. Nella mente e fantasia della gente avveduta e saggia non si ferma punto questo dilettevol sì, ma falso e pernicioso fantasma.
Oltre a ciò si danno idee sussistenti, e rapresentanti qualche oggetto o nozione vera, ed insieme utile e degna stima. Tale è l'idea dell'onore, di cui alcuni han sì piena la testa e la bocca, ancorché per lo più resti loro da imparare ciò, che significhi questa parola, e in che consista il vero e falso onore. Egli è desiderabile, che ognun ci stimi e rispetti tanto colla voce, che coi fatti, o almeno che non ci sprezzi, o ci faccia ingiuria. E questo è un bene, di cui non si può negare che giusta e lodevole sia l'idea. Ma riscuotere questo rispetto e stima della gente non si può con ragione senza un'altra idea, col figurarsi dovuto questo tributo solamente a chi opera secondo la virtù, ed ha abborrimento ad ogni azione malfatta.
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