Perché la bellezza e l'utilità sogliono produrre diletto e piacere, perciò l'anima facilmente passa ad appetire, cioè a desiderare quell'oggetto, ora con picciolo, ed ora con gran movimento, a proporzion del maggiore o minor piacere ed utilità, che ne può venire, e della maggiore o minor facilità di conseguirlo. Essendo impressa nella fantasia una tale idea con gli aggiunti ad essa fatti dal giudizio o retto o erroneo della mente: naturalmente avviene, che ogni qualvolta essa torna davanti al guado dell'anima, si risveglia sempre l'appetito. Anzi allorché, siccome altrove abbiam detto, si spera dal possesso di quell'oggetto sensibile un gran bene, questo fantasma non lascia, per così dire, giammai in posa l'anima, tantoché la medesima dal desiderio, che è un volere incoato, passa al volere assoluto, se si tratta di cosa, che sia in mano nostra di fare od ottenere; o pure a cercar tutti i mezzi per conseguire quel fine. L'anima è quella, che appetisce, ma non è picciolo l'influsso della fantasia per muoverla a tali appetiti. Un contrario movimento, cioè avversione, o odio, succede poi, se gli oggetti sensibili rapportati all'anima si scorgono da essa per brutti o nocivi. Gli aristotelici hanno ideata nell'anima la concupiscibile per gli primi movimenti del piacere, e l'irascibile per questi altri dell'avversione.
Ma la teologica concupiscenza abbraccia tutti e due questi contrarj movimenti dell'anima. E perciocché sappiamo, che essa ci sollecita a desiderj peccaminosi, ed azioni sconvenevoli alla dignità dell'uomo, ed opposti agl'insegnamenti della religion naturale e rivelata, e purtroppo sentiam tutti entro di noi questo brutto pendio; convien ora volgere gli occhi non meno all'anima, che alla fantasia nostra.
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