Se il primo, chi non vede la nostra pazzia, mentre operiamo contro le giuste naturali leggi del nostro amor proprio, che c'ispirano il far del bene e non del male a noi stessi? Se il secondo, facile è il ravvisare la nostra bestialità, perché come mai scusare d'ingiustizia ed iniquità il nuocere agli altri, quando conosciamo per cosa tanto giusta, che gli altri non nuocano a noi stessi? Ora osservate, da che procedano i perversi nostri costumi. Già si è veduto, che le idee della cose sensibili, riconosciute dalla mente per utili o dilettevoli, ma senza esaminare, se sieno anche oneste, commuovono forte gli appetiti, o sia la concupiscenza nostra; e tale è la lor forza impulsiva, che l'anima corre ad operar quello, che non dovrebbe, perché contrario alla retta ragione. Conosciamo ancora per lo più, mancare l'onestà all'azione, verso cui siamo spinti, e pur la vogliamo ed eleggiamo; e ciò perché l'anima agitata dal focoso presente fantasma, benché potesse e dovesse sospendere e frenare il suo moto, per dar tempo alla mente di ben riflettere alle cattive conseguenze della proposta azione: pure va innanzi, e si lascia trasportare ad eseguirla. Come dunque abbiam noi da rimediare a questi perniciosi impulsi della fantasia?
A ciò mirabilmente può giovare il suddetto studio della Filosofia dei costumi, il cui ufizio è di farci comprendere le ruote interne, che muovono l'uomo alle azioni moralmente buone o cattive, cioè gli appetiti e le passioni, e le forze e i doveri del libero nostro arbitrio; e qual fine abbia da prescrivere il saggio a se stesso; e ciò che porta il carattere di vizio per fuggirlo, di virtù per seguitarlo; e i lodevoli mezzi per impedire, che i suddetti appetiti ed effetti non ci rapiscano al male, cioè ad azioni riprovate dalla religion naturale, e molto più alla rilevata.
| |
Filosofia
|