Ma il Mostro, incattivito più che mai, gli arrispose:
- Senti, uno 'gli ha da morire. O portami la ragazza che volse la rosa, o insennonnò i' t'ammazzo in questo vero mumento.
E nun ci fu versi di persuaderlo né con le preghiere, né co' pianti; ché il Mostro stiede fermo nella su' sentenzia, e nun lassò andar via quel pover'omo, se prima lui nun gli ebbe promesso con giuramento di menargli lì nel giardino la su' figliola Zelinda.
Figuratevi con che po' di core quel pover'omo rinentrò in casa sua! Lui diede i regali compri alle su' figliole più grandi, e anco la rosa alla Zelinda; ma 'gli aveva un viso istravolto e bianco come un morto iscaturito dalla sepoltura, sicché le ragazze tutte impaurite gli domandorno quel che era stato e se gli era intravvenuto qualche disgrazia.
Dagli e ridagli, finalmente il pover'omo piagnendo a calde lacrime si messe a ridire le su' disgrazie di quel malauguroso viaggio e a che patto infine lui era potuto ritornare a casa:
- Insomma - scramò - ci bisognerà esser mangiati vivi, o io o la Zelinda, dal Mostro.
Allora sì che le altre due sorelle scaricorono la sacca in sulla Zelinda.
- Bada lì - dicevano loro - la smorfiosa, la capricciosa! Lei, lei anderà dal Mostro! Lei che ha volsuto la rosa di [3] questi be' tempi. Che! il babbo ha da restare con noi. La grulla!
A tutti questi improperi la Zelinda senza scommoversi s'accontentò di rispondere:
- 'Gli è giusto che paghi chi ha fatto il malanno. Anderò io dal Mostro. Sì, babbo, menatemi al giardino, e sia pure la volontà del Signore.
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