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      Doppo vari contrasti e battibecchi in quella famiglia scompigliata, ché ognuno parlava a passione, abbeneché diversa, restò fissato che la Zelinda 'gli anderebbe nel giardino del Mostro per lassarla lì sola: e difatto feciano senz'altro accosì.
      Quando viense la mattina, la Zelinda con il su' babbo tutto addolorato si messano in cammino e in sull'imbrunire loro arrivorno al cancello del giardino, e nentrati che furno, nun c'era, com'al solito, persona viva, ma ci veddano un gran palazzo da signori illuminato e con le porte spalancate; sicché dunque, i due viaggiatori arrivati nell'androne, subbito quattro statue di marmo si mossano d'in sul piedistallo con le torce accese in mano e gli accompagnorno per le scale per insino in una sala grande, dove nel bel mezzo c'era una mensa apparecchiata con ugni ben di Dio.
      Loro, che avevano dimolta fame, senza tanti complimenti si sederno a mangiare; e quando furno satolli, le medesime statue co' lumi gli condussano in du' belle cammere ammannite, gli mettiedano a letto, e felice notte.
      La Zelinda e il su' babbo gli erano tanto stracchi, ché s'appiopporno come ghiri e dormirno saporitamente per quanto fu lunga la notte.
      Alla levata del sole la Zelinda e su' padre destati si levorno diviato e delle mani invisibili gli servirno a culizione di tutto punto; doppo, scesi giù nel giardino, si diedano assieme a cercare del Mostro, e arrivati al cespuglio delle rose, eccotelo che sbuca fori con la su' bruttezza e terribilità. La Zelinda, a quella vista, diventò bianca dalla paura e gli tremavan sotto le gambe; ma il Mostro la guardò fissa con que' su' occhiacci infocati e poi disse al pover'omo:


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Sessanta novelle popolari montalesi
di Gherardo Nerucci
Editore Le Monnier Firenze
1880 pagine 665

   





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