Addio.
E via a galoppo.
Il primogenito, doppo aver camminato dimolti giorni per paesi 'gnoti, s'abbattiede alle porte di una città ismensa e popolosa, addove entrato che fu, si meravigliò in nel vedere che tutti gli abitatori vestivano a bruno, tienevano il viso addolorato e pareva che piagnessero.
Lui subbito ne domanda la ragione, e gli dissano, che un Mago ispaventoso con sette teste compariva da del tempo ugni dì in nel giardino reale al tocco di mezzogiorno e che divorava quanta gente gli capitassi 'n tra' piedi; che il Re, per rimedio di più gran male, s'era obbligato con il Mago a fornirgli a sorte un corpo umano al giorno; e che in quella medesima mattina la sorte appunto era toccata alla figliola del Re; e però la città intiera piena di rammarico s'era vestita a bruno.
Il giovane, coraggioso dimolto, disse:
- Oh! che nun c'è versi di salvare la figliola del Re e nell'istesso tempo libberar la città da un simil fragello? Gnamo, menatemi dal Re.
Subbito il giovane lo condussano alla presenzia di Sua Maestà, e lui gli chiese il permesso di combattere con quel Mago e di ammazzarlo; ma il Re gli arrispose:
- Giovanotto ardito, sappi che dimolti prima di te hanno tentato la 'mpresa, e ci rimessan, poeri sciaurati, la vita. Se però ti garba di risicarla, i' nun te lo 'impedisco. Anzi, se tu vinci, quella mi' figliola, oggi destinata per pasto del Mago, te la do in isposa, e tu sara' anco l'erede del Regno alla mi' morte.
Niente 'mpaurito il giovane e di più messo al punto di diventare genero del Re e su' erede, si fece menare in nel giardino, addove già la Principessa steva lì per le terre in ginocchioni a raccomandarsi l'anima a Dio, a ugni mumento aspettando l'apparita del Mago.
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