Scrama il Re in nel sentire quella risposta:
- Tu sie' stato dalla Regina! Questo 'gli è un consiglio della Regina! Nun c'è che lei capace di questi sentimenti. I' ho capito, e so quel che ho da fare. Infrattanto, te vientene subbito al mi' tribunale.
Vanno diviato al tribunale, e fatto chiamare anco il contadino, il Re diede un'altra sentenzia, e il fattore riebbe il su' muletto, che era giusto, perché era di lui.
Quando il Re fu ritorno dal tribunale al su' palazzo, chiamò Grisèlda e gli disse:
- I' t'avevo proibito di metter bocca in negli affari di Stato; ma te nun m'ubbidisci, e nun posso campare insenza essere scontraddetto da te. Sa' tu quel che è. Te devi arritornartene a casa tua. Piglia quattrini, piglia [126] gioie, piglia anco la cosa che t'è più cara dientro al palazzo reale, ma fora! Ché qui nun ci si pole stare tutt'e dua assieme.
Arrisponde Grisèlda:
- Come vole Sua Maestà. Ma però i' gli chieggo una grazia sola, di aspettare a domani di andarmene. Di sera sarebbe propio vergogna per lei e per me, e nascerebbano dimolti chiacchiericci e mormorii 'ntra la gente.
Dice il Re:
- Concessa la grazia. No' si cenerà per l'ultima volta assieme, e poi domani te a casa tua. Nun mi rimuto.
Vienuta la sera fu al solito 'mbandita la mensa reale, e Grisèlda 'gli aveva ordinato che ci fussano dimolte bottiglie in tavola, e lì mesci al Re, che finalmente, bevi bevi 'nsenza discrizione, cascò addormito in sulla poltrona, da parere un masso.
Dice allora Grisèlda a' servitori:
- Pigliate la poltrona con quel che c'è sopra e vienitemi dietro: ma che nimo nun sia ardito di parlare.
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