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      I servitori presano la poltrona a braccia con il Re a quel mo' appioppato e s'avviorno con la padrona, che sortì dal palazzo e poi andiede fora della porta della città, e nun si fermò che a casa sua, quand'era notte fitta. Picchia, e su' padre domanda dal di dientro:
      - Chi è a quest'ora?
      - Apritemi, babbo, ch'i' son io, - arrispose Grisèlda.
      Il contadino s'affaccia alla finestra in nel sentire la voce della figliola:
      - Come, sie' te a quest'ora che qui? I' te l'avevo ditto che un bel giorno tu averesti dovuto arritornare a casa tua! I' feci pur bene a serbarti i panni di lendinella. Son sempre qui, veh! attacchi spenzoloni al cavicchio in cammera tua.
      Scrama Grisèlda a quel chiacchiericcio:
      - Gnamo, via! meno discorsi e apritemi.
      Il contadino scende dunque e apre, e vede tutta quella gente; nentrano in casa, e Grisèlda si fa portare in cammera il Re e lo fa mettere spogliato nel su' propio letto; poi licenzia i servitori, e anco lei va a letto accanto del Re.
      Quando fu la mezzanotte il Re si destò, e gli pareva di star male in sulle materasse, e si sentiva doliccicare dappertutto. Tasta e s'accorge che ha la moglie con seco.
      Dice allora il Re:
      - Grisèlda, oh! nun t'avevo ditto che avevi da ire a casa tua?
      - Sì, Maestà, - arrisponde lei: - ma nun è anco giorno. Dorma, dorma.
      Il Re si riaddormì.
      A bruzzolo il Re si desta daccapo, alza gli occhi e vede la luce [127] attraverso 'l tetto. Nun sapeva lui quel che si pensare. Guarda d'attorno e s'accorge che nun è la su' cammera del palazzo reale, sicché addimanda alla moglie:


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Sessanta novelle popolari montalesi
di Gherardo Nerucci
Editore Le Monnier Firenze
1880 pagine 665

   





Grisèlda Grisèlda Grisèlda Maestà