- Grisèlda, che lavoro è egli questo? Oh! addove no' siemo?
Dice Grisèlda:
- Sua Maestà nun mi disse che dovevo arritornarmene a casa mia? Deccomi, ci sono. Nun mi disse che portassi pur con meco la cosa che più mi garbava nel palazzo? Siccome la cosa che più mi garba è Sua Maestà, accosì i' ho porto con meco qui anco lei. I' l'ho obbedita appuntino in tutti i su' ordini.
Dice il Re:
- Tu sie' propio una donna a modo, Grisèlda. Il mammalucco son io, che fo anco dell'ingiustizie. Via, leviamoci e torniamo al palazzo, e da qui 'nnanzi i' ti vo' sempre a dire i tu' pareri e a sentenziare con meco al tribunale.
Allora si levorno e se n'andiedano diviato al palazzo reale, e la Regina deva i su' pareri e le sentenzie come da prima, e tutto il popolo fu dimolto contento.
E accosì que' dua camporno lungo tempo, e
Se ne stettano e se la godettano,
E a me nulla mi dettano.
NOVELLA XVI
* Bellindia
(Raccontata dalla Luisa vedova Ginanni)
C'era una volta un mercante di Livorno che aveva tre figliole, e si chiamavano per nome Assunta, Calorina e l'ultima Bellindia: ma questa 'gli era differente dall'altre dua, perché loro erano tutte ambiziose, e lei 'n vece steva di molto a sé e sempre badava alle faccende di casa.
Un giorno il mercante arriva a casa tutto disperato e dice alle su' figliole:
- Sapete che c'è? E' c'è una brutta nova. S'è perso il bastimento con ugni mercanzia e no' siamo in rovina a bono.
In nel sentire la brutta nova, l'Assunta e la Calorina si mettiedano a piagnere; ma la Bellindia disse:
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