Il Re gli ricevette i forastieri da par suo e comperò de' gioielli, e poi gli orefici gli garborno tanto, perché gli parseno gente per bene, che lui gli volse con seco a desinare.
Quand'ebban finito di mangiare e che gli eran satolli, discorsano del più e del meno in quel mentre che bevevano il caffè, e il Re dalle parole e dalla su' allegrezza in nel viso almanco pareva contento. Guà! n'aveva il nome delle contentezze!
Dice quello che era travestito da orefice di fora via:
- Lei, Maestà, nun si pole lamentare; sta bene e nun gli manca nulla. Dunque, 'gli è per questa ragione che lo chiamano il Re delle contentezze?
- Eh! sicuro, questo pare. Ma vienite con meco e vi farò vedere i mi' contenti. Vienite vienite.
S'alzano da tavola e il Re innanzi a girare per tutto il palazzo, pieno d'oro, di pietre preziose, una ricchezza che cavava gli occhi soltanto a guardarla; poi arrivorno a un salone, giù fondo - anco qui c'è fondo, ma lì al paragone fondo, che la fine quasimente nun si vedeva.
Dice il Re:
- Decco là quelle tre belle donne che lavorano: una è la Regina, la mi' sposa, e quell'altre dua sono le su' camberiere che gli tiengan compagnia; nun ce n'è altre di simili in tutto il mondo. Avere' io a esser contento con quel tocco di sposa? Una bellezza di sposa, via! Trovatene un'altra, se vi rinusce, d'una bellezza splendente a quel mo'.
Tutti assieme si avvicinorno allora; ma più che il Re s'accostava e la su' sposa principiava a allargar le braccia e a tremolare in tutta la persona, e quando lui gli era dinanzi a petto, la Regina si trasmutava in una statua.
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Maestà Regina Regina
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