Quando furno [269] per istrada da un pezzo, tutt'a un tratto la sposa si tocca il collo e scrama:
- Oh! Dio, Dio! il mi' vezzo di corallo! I' l'ho lasso in sull'ontano della vasca. Presto, Maestà, m'arracomando, ritorniamo a pigliarlo.
Dice il Re:
- Che ti sgomenti per un vezzo rosso? Ce n'è da comperarne quanti ne vòi, e anco più belli, in nella mi' città. Nun ti confondere.
- No, no! - grida piagnendo la sposa. - E' bisogna ch'i' ripigli quello mio 'n tutti i modi, avessi da andarci co' mi' piedi. La mamma, che era scorruccita con meco, m'ha detto ch'i' badassi di nun lassar nulla a casa di mio, insennonò poer'a me! M'accaderà una disgrazia. 'Gnamo, per amor di Dio! 'gnamo a ripigliarlo il mi' vezzo.
Al Re nun gli rinuscì di persuaderla la su' sposa di smettere quel pensieri. Si sa, le donne èn' tutte testoline, e quand'hanno un'idea 'n capo nun gli si cava nemmanco con lo scarpello!
Sicché dunque tornorno con la carrozza in nel giardino e lì all'ontano c'era sempre il vezzo rosso ciondoloni.
La sposa tutt'allegra salta giù, lo piglia e se lo mette, ma in un lampaneggio il collo gli diviense come un Collo di Pecora, grosso a quel mo' e peloso fitto, propio come l'hanno le pecore, scambio di bello, che lei l'aveva prima, era trasficurito e brutto.
- Ohimmè! decco il frutto della mi' disubbidienza! - disse con le lagrime agli occhi quella disgraziata di sposa.
Subbito lei salisce nel palazzino a ritrovare su' madre:
- Mamma, mamma! guardate il mi' collo, com'è divento.
Dice la vecchia facendo lo 'gnorri:
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Dio Maestà Gnamo Dio Pecora
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