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      Dunque la [467] Caterina, nel tirar via l'arrosto, fece scattare la molla della tagliola e rimanette tra' du' ferri, e dal male e per la paura piagneva e sbergolava a più nun posso.
      Corse il Principe e scramò:
      - Vedi, s'i' t'ho chiappa, birbona! Ma ora te me la paghi per tutte, - e con l'idea di picchiarla prendé un frustino e gli s'accostò. La Caterina di lì era 'mpossibile che si bucicassi, stretta a quel mo' dalla tagliola; e tavìa nun si scoraggì, e nun tiense la lingua mutola, né gli occhi fermi.
      S'arrivolse 'n verso il Principe e tutt'umile gli principiò a dire tante cose tenere e a fargli tanti vezzi, che lui 'mpietosito dalle su' bellezze, 'n scambio di ritrovargli le costole, volse libberarla e perdonargli addirittura per l'affatto.
      Ma, poero Principe! s'accorgé tardi con che volpe gli aveva lui da contrastare! Perché 'n quel mentre che lui s'arrabattava a aprire la tagliola, alla Caterina gli rinuscì con isveltezza cavar fora le su' propie mane e ficcarci dientro quelle del Principe, che rimanette come un minchione rinserro tra que' ferri dentati e auzzi. Si provò a urlare a chiedere aiuto; ma per via de' su' medesimi comandi, nimo de' servitori fu ardito di dargli retta, e la Caterina 'nfrattanto, preso un bel randolo d'in su la catasta delle legna, con quello lo macolò 'l Principe accosì forte, che, quando lo lassò svienuto, lui pareva un Ecce Homo al naturale.
      I servitori e il coco, aspetta aspetta, finalmente s'affacciorno all'uscio di cucina e veddano quello spettacolo del Principe mezzo morto e penzolente per le mane dalla tagliola.


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Sessanta novelle popolari montalesi
di Gherardo Nerucci
Editore Le Monnier Firenze
1880 pagine 665

   





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