- Te ha' cento ragioni da vendere; sicché è meglio perdonarsi e' nostri mancamenti e rimettersi fra di noi in santa pace. Quel che è stato, oramai è stato e nun se ne parli più. Nentra qui con meco, ché il brutto mostro, come te vedi ci ha lasso libberi e i' sono divento padrone spotico di questo palazzo e delle ricchezze che ci sono dientro.
L'Argia contenta del successo bono nun si fece più pregare e infilziò tra le lenzola 'n braccio al su' sposo più svelta d'uno scoiattolo, e tuttadua, quand'ebbano chiacchierato un bel pezzo, finirno per addormirsi: ma desti che furno a levata di sole, 'nvece che nel letto principesco si trovorno a diacere a ciel sereno sopra un gran monte di corna 'n mezzo alla selva. Il palazzo 'gli era sparito. Gua'! gli toccò arritornarsene lemme lemme a Bologna, in dove nun ebban più da lamentarsi l'uno dell'altro, e Anselmo smenticò pure tutte le gelosie, che gli eran fuggite via assieme al palazzo 'ncantato.
NOTE:
(1) Vedi IMBRIANI V., La Novellaja Fiorentina (prima edizione). Napoli, tip. Napolitana, 1871, pagg. 187, 198, 214, 221, 235, 245.
ID., La Novellaja Fiorentina (seconda edizione). Livorno, coi tipi di Francesco Vigo, editore, 1877, pagg. 53, 114, 125, 202, 239, 319, 349, 375, [390], 497, 500, 508, 527, 537, 581, 587, 594.
ID., XII Conti Pomiglianesi. Napoli, Detken e Rocholl, 1877, pag. 136.
ID., Due Novelle Toscane con postille; nel Giornale Napoletano di Filosofia e Lettere, ec., ec. diretto da F. Fiorentino, vol. III. Napoli, Riccardo Margheri, 1876, pagg.
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