Ma il feudatario era cocciuto, e soltanto dopo dodici anni d'inutile assedio, si piegò a levare il campo e a mettere nella cantera dei sogni svaniti i futuri allori d'Orlando. Costui fu chiamato una bella mattina con imponente solennità dinanzi a suo padre; il quale per quanto ostentasse l'autorevole cipiglio del signore assoluto aveva in fondo il fare vacillante e contrito d'un generale che capitola.
- Figliuol mio - cominciò egli a dire - la professione delle armi è una nobile professione.
- Lo credo - rispose il giovinetto con una cera da santo un po' intorbidata dall'occhiata furbesca volta di soppiatto alla madre.
- Tu porti un nome superbo - riprese sospirando il vecchio Conte. - Orlando, come devi aver appreso dal poema dell'Ariosto che ti ho tanto raccomandato di studiare...
- Io leggo l'Uffizio della Madonna - disse umilmente il fanciullo.
- Va benissimo; - soggiunse il vecchio tirandosi la parrucca sulla fronte - ma anche l'Ariosto è degno di esser letto. Orlando fu un gran paladino che liberò dai Mori il bel regno di Francia. E di piú se avessi scorso la Gerusalemme liberata sapresti che non coll'Uffizio della Madonna ma con grandi fendenti di spada e spuntonate di lancia il buon Goffredo tolse dalle mani dei Saracini il sepolcro di Cristo.
- Sia ringraziato Iddio! - sclamò il giovinetto. - Ora non resta nulla a che fare.
- Come non resta nulla? - gli diede sulla voce il vecchio. - Sappi, o disgraziato, che gli infedeli riconquistarono la Terra Santa e che ora che parliamo un bascià del Sultano governa Gerusalemme, vergogna di tutta Cristianità.
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