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      Da Colloredo a Collalto, che è il tratto di quattro miglia, mi ricorda che fino a vent'anni fa due agili e robusti cavalli sudavano tre ore per trascinare un cocchio tanto ben saldo e compaginato da resistere agli strabalzi delle buche e dei macigni che s'incontravano. Piú, v'avea un buon miglio pel quale la strada correva in un fosso o torrente; e per sormontare quel passo richiedevasi indispensabile il soccorso d'un paio di buoi. Le vie carrozzabili non erano diverse da quella nel resto della provincia e ognuno si può figurare qual dovesse essere la forza esecutiva delle autorità sopra persone difese d'ogni parte da tanti ostacoli naturali. Fra questi voglio anche tralasciar per ora di metter in conto la pigrizia e la venale complicità dei zaffi, dei cavallanti e perfino dei cancellieri; costretti quasi a cotali compromessi per rimediare alla soverchia modicità delle tariffe e alla proverbiale avarizia dei principali. Fra costoro, per esempio v'avea taluno che, anziché retribuir d'alcuna mercede il proprio cancelliere o nodaro, pretendeva far parte con lui delle tasse percepite, e mi sovviene d'un nodaro costretto a condannar la gente il doppio di quanto avrebbe dovuto, per soddisfare all'ingordigia del giurisdicente e insieme cavarci di che vivere. Un altro castellano, quando era al verde, costumava denunciar egli stesso alla cancelleria un supposto delitto per leccare la sua quota sulla paga dovuta all'officiale pel processo, dalla parte condannata. Certo il giurisdicente e il cancelliere di Fratta non erano di tali sentimenti; ma io peraltro non mi ricordo di aver udito mai levar a cielo la loro giustizia.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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