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      Chi aveva buona indole volgeva a bene questa singolare ambizione, e chi era invece taccagno, scroccone o cattivo, ne era tirato alla piú bassa e doppia malvagità. Ma ser Andreini andava primo fra i primi; poiché se era accorto e chiacchierone, aveva in fondo la miglior pasta del mondo, e non avrebbe cavata l'ala ad una vespa dopo esserne stato beccato. I servitori, gli staffieri, il trombetta, la guattera e la cuoca erano pane e cacio con lui; e quando il Conte non gli era fra i piedi, scherzava con esso loro e aiutava il figliuolo del castaldo a spennar gli uccelletti. Ma appena capitava il Conte, si ricomponeva per badare solamente a lui, quasiché fosse sacrilegio occuparsi d'altro quando si godeva della felicissima presenza d'un giurisdicente. E secondo i probabili desiderii di questo, egli era il primo a ridere, a dir di sí, a dir di no, e perfino anche a disdirsi se aveva sbagliato colla prima imbroccata.
      C'era anche un certo Martino, antico cameriere del padre di Sua Eccellenza, che bazzicava sempre per cucina, come un vecchio cane da caccia messo fra gli invalidi: e voleva ficcare il naso nelle credenze e nelle cazzeruole, con gran disperazione della cuoca, brontolando sempre contro i gatti che gli si impigliavano nelle gambe. Ma costui essendo sordo e non piacendosi troppo di ciarlare, non entrava per nulla nella conversazione. Unica sua fatica era quella di grattare il formaggio. Gli è vero che colla flemma naturale tirata ancor piú a lungo dall'età, e collo straordinario consumo di minestra che si faceva in quella cucina, una tale fatica lo occupava per molte ore del giorno.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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