Il fattore giurò che una volta o l'altra per la soverchia consolazione egli sarebbe saltato nella peschiera; ma convien dire a lode del povero prete che questo accidente non gli avvenne mai. Il maggior segno di contentezza che diede fu una volta quello di mettersi coi birichini a scampanare a festa dinanzi la chiesa. Ma in quel giorno l'avea scapolata bella. C'era in castello un prelato di Porto, chiamato il Canonico di Sant'Andrea, grande teologo e pochissimo tollerante dell'ignoranza altrui, che avea onorato in addietro e seguitava ad onorar la Contessa del suo patrocinio spirituale. Costui con monsignor Orlando e il Piovano s'era impancato vicino al focolare a dogmatizzar di morale. Il cappellanello che veniva a domandar conto della digestione del signor Conte, come voleva la prammatica di ogni dopopranzo, era stato lí lí per cascare nel trabocchetto; ma a metà della cucina aveva orecchiato la voce del teologo e protetto dalle tenebre se l'avea data a gambe, ringraziando tutti i santi del calendario. Figuratevi se non avea ragione di scampanar d'allegrezza!
Oltre a questi due preti e ad altri canonici e abati della città che venivano a visitar di sovente monsignor di Fratta, il castello era frequentato da tutti i signorotti e castellani minori del vicinato. Una brigata mista di beoni, di scioperati, di furbi e di capi ameni, che spassavano la loro vita in caccie in contese in amorazzi e in cene senza termine; e lusingavano del loro corteo l'aristocratico sussiego del signor Conte.
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