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      Fu infatti un gran miracolo il mio od una giunteria solenne di menarvi a zonzo per un intero capitolo della mia vita, parlandovi sempre di me, senza dir prima chi io mi sia. Ma bisognando pure dirvelo una volta o l'altra, sappiate adunque ch'io nacqui figliuolo ad una sorella della Contessa di Fratta e perciò primo cugino delle contessine Clara e Pisana. Mia madre aveva fatto, com'io direi, un matrimonio di scappata coll'illustrissimo signor Todero Altoviti, gentiluomo di Torcello; cioè era fuggita con lui sopra una galera che andava in Levante, e a Corfù s'erano sposati. Ma parve che il gusto dei viaggi le passasse presto, perché di lí a quattro mesi tornò senza marito, abbronzata dal sole di Smirne, e per di piú gravida. Detto fatto, partorito che la ebbe, mi mandò senza complimenti a Fratta in un canestro; e cosí divenni ospite della zia l'ottavo giorno dopo la mia nascita. Quanto gradito ognuno lo può argomentare dal modo con cui ci capitava. Intanto mia madre, poveretta, espulsa da Venezia per istanza della famiglia, erasi acquartierata a Parma con un capitano svizzero; e di là tornata a Venezia per implorarvi la pietà di sua zia, la era morta allo spedale, senza che un cane andasse a chiedere di lei. Queste cose me le contava Martino e contandole mi faceva piangere, ma io non seppi mai donde le avesse sapute. Quanto a mio padre, dicevano che fosse morto a Smirne dopo fuggitagli la moglie; alcuni asserivano di crepacuore per questo abbandono; altri di disperazione per debiti; altri d'una infiammazione buscata col bere troppo vino di Cipro.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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