Siccome poi queste mie arti furono in breve scoperte, cosí me ne toccarono molte ramanzine per parte di Monsignore dinanzi al focolar di cucina; ma io mi scusava della mia ripugnanza dicendo che non sapeva il Confiteor. E infatti, per giustificare questa mia scusa, le poche volte che era beccato, aveva sempre l'accorgimento di tornar a capo, una volta giunto al mea culpa; e per due tre e quattro volte ripeteva una tale manovra, finché Monsignore impazientato lo finiva lui. Quei giorni nefasti aveva poi la compiacenza di star chiuso in un camerino sotto la colombaia, col libricciuolo della messa, un bicchier d'acqua ed un pane bigio fino a un'ora innanzi i vespri. Io mi divertiva immollando il libro nell'acqua, e sminuzzando il pane ai piccioni; e poi, quando Gregorio, il cameriere di Monsignore, veniva a sprigionarmi, correva da Martino presso il quale era certo di trovare il mio pranzo. Peraltro durante quelle ore aveva il dispetto di udir la voce della Pisana che si trastullava cogli altri ragazzotti senza darsi melanconia pel mio carceramento; e allora mi prendeva una tal bile contro il Confiteor, che lo faceva in pallottole e lo gettava giù nel cortile sopra quei birboncelli assieme a quanti sassuoli e calcinacci potea raccattar nei canti e raspar dalla muraglia colle unghie. Talvolta anche squassava con quanta forza poteva la porta, e le dava addosso coi gomiti coi piedi e colla testa; e dopo un mezz'ora di tali strepiti il fattore non mancava mai di venir a ricompensarmene con quattro sonate di staffile.
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