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      Dopo pranzo e prima che la Contessa capitasse in cucina, io sgambettava fuori incontro alla ragazzaglia che accorreva a quell'ora sul piazzale del castello: e molti di loro mi seguivano poi nel cortile, dove la Pisana sopraggiungeva poco dopo, a farvi quelle prodezze di civetteria che ho detto poco fa. Mi domanderete perché io stesso andassi a chiamare i miei rivali che poscia mi davano tanta noia. Ma la Contessina era tanto sfacciatella che ella stessa andava a chiamarli se non c'era stato io; e questo m'induceva a fingere di fare a mio grado quello che, con doppio smacco, sarei stato costretto a sopportare. La tranquilla digestione della Contessa, e le faccende che occupavano alle donne tutto il dopopranzo, ci lasciavano liberi per lungo tempo ai nostri trastulli; e se dapprincipio la vecchia nonna cercava conto in quelle ore della nipotina, costei si diportava nella sua stanza con tal cattiveria, che la Contessa finiva a congedarla come un pericoloso disturbo del suo chilo. Stavamo dunque in piena libertà di correre, di strillare, di accapigliarci nell'orto, nei cortili e nei porticati. Soltanto una terrazza dove guardavano le finestre del Conte e di Monsignore ci era vietata dall'incorruttibile custodia di Gregorio. Una volta che alcuni de' piú temerari si gabbarono del divieto, il cameriere sbucò fuori dalla porticella d'una scala secondaria col manico della scopa e ne menò tante addosso di quei sussurroni che tutti ebbero capito non esserci modo da scherzare da quella banda.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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