L'inferma lo udiva volentieri narrar casi e battaglie che volgevano sempre alla peggio degli Inglesi, e s'univa con lui in un caldo entusiasmo per quel patto federale che avea loro tolto per sempre il possesso delle colonie americane. Quando poi egli parlava a labbra strette delle vicende di Francia e dei ministeri che vi si sbalzavano l'un l'altro, e del Re che non sapeva piú a qual partito appigliarsi, e delle mene della Regina germanizzante, allora entrava ella a raccontare le cose de' suoi tempi e le splendidezze della corte, e gli intrighi e la servilità dei cortigiani, e la superba e quasi lugubre solitudine del gran Re, sopravvissuto a tutta la gloria di cui l'avevano ricinto i suoi contemporanei, per assistere alla frivolezza e alla turpitudine dei nipoti. Ella discorreva con raccapriccio dei costumi sfacciatamente osceni che si auguravano fin d'allora dalla nuova generazione, e ringraziava il cielo che proteggeva la Repubblica di San Marco contro l'invasione di quella pestilenza. Passata dalla Corte di Francia al castello di Fratta, ella ricordava Venezia com'era stata nei primordi del Settecento, non indegna ancora del suffragio serbatole nel gran consiglio degli Stati europei; non poteva conoscere quanto in quel frattempo, e con qual lusinghiera orpellatura di eleganza, le sconcezze di Versailles e di Trianon venissero copiate vogliosamente a Rialto e nei palazzi del Canal Grande. Quando la nipote le leggeva talune delle commedie di Goldoni, ella se ne scandolezzava e le faceva saltar via qualche pagina; qualche volume anche avea creduto bene di toglierselo lei e serrarlo sotto chiave; né avrebbe mai figurato che quanto a lei sembrava sfrenatezza di lingua e licenza di pensieri, nei teatri di San Benedetto o di Sant'Angelo facesse anzi l'effetto di sferzare costumi ancor piú rotti e sfrontati.
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