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      Egli mi disse che non doveva essere quella peste che mi credevano se il dolore di esser reputato bugiardo mi faceva dare in simili violenze contro me stesso; ma mi raccomandò di usar piú discrezione in avvenire, di offerire a Dio le mie tribolazioni, e di imparare la seconda parte del Confiteor. Nelle benigne parole di Monsignore io riconobbi il buon animo della Clara, la quale aveva dato quell'edificantissima ragione delle mie stramberie, e cosí, se non il perdono completo, mi fu almeno concessa una clemente dimenticanza. Seppi in seguito da Marchetto che il signor Lucilio mi aveva dipinto come un ragazzo molto timido e permaloso, facile ad esser abbattuto anche nelle forze e nella salute da un qualunque dispiacere; e tra lui e la Clara tanta malleveria diedero della mia sincerità che la Contessa non volle insistere ad accusarmi di doppiezza. Peraltro ella si tolse la briga di interrogare Germano; ma questi, imbeccato forse da Martino, rispose che avea bensí udito la notte prima lo scalpitar d'un cavallo, ma buona pezza dopo il mio ritorno a Fratta, sicché non era possibile che con quel cavallo io fossi venuto. Allora la testimonianza di Fulgenzio fu lasciata là, ed io rimasi colla mia pace, e non caddi piú nella necessità di dover mentire per delicatezza di coscienza. Debbo tuttavia soggiungere che quella che parrà a taluni frivola e cocciuta ostinazione di fanciullo, a me sembrò fin d'allora e la sembra tuttavia una bella prova di fedeltà e di gratitudine. Fu allora la prima volta che l'animo mio ebbe a lottare fra piacere e dovere; né io titubai un istante ad appigliarmi a quest'ultimo.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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