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      Trovai in riva d'un fosso un legacciolo da scarpe. L'era della Pisana, ed io seguitai oltre persuaso che il gran desiderio me l'avrebbe fatta trovare in qualunque luogo. Spiava le macchie, i rivali, e le ombre dove eravamo usati posare nelle nostre scorrerie: gli occhi miei correvano d'ogni lato sferzati dalla gelosia, e se mi fosse capitato alle mani quel figliuoletto dello speziale, credo che l'avrei unto ben bene senza darmene un perché. Quanto alla Pisana, la conosceva a fondo, mi ci era avvezzato stupidamente, ed avea cominciato quasi ad amarla in ragione de' difetti, come appunto l'eccellente cavallerizzo predilige fra' suoi cavalli quello che piú s'impenna e resiste agli speroni ed alle redini. Non è qualità che tanto renda pregevole e cara alcuna cosa, come quella di vederla pronta a sfuggirci; e se cotal abitudine di timore e di sforzo affatica gli animi deboli, essa arma e ribadisce i costanti. Si direbbe che la Pisana m'avesse stregato, se la ragione dello stregamento io non la leggessi chiara nell'orgoglio in me continuamente stuzzicato a volerla spuntare sugli altri pretendenti. Mi vedeva il preferito piú di sovente e sopra tutti; voleva esserlo sempre. Quanto al sentimento che mi portava a voler ciò, era amore del piú schietto; amore che crebbe poi, che mutò anche tempra e colore, ma che fin d'allora mi occupava l'anima con ogni sua pazzia. E l'amore a dieci anni è tanto eccessivo come ogni altra voglia in quella età fiduciosa che non conobbe ancora dove stia di casa l'impossibile.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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